giovedì 13 settembre 2012

Il diritto al silenzio

La musica è ovunque. Si trova nei ristoranti, nei negozi di vestiti e nei parcheggi sotterranei; c’insegue nelle sale d’attesa, nei bagni, al posto dello squillo dei telefoni; ce la portiamo dietro in macchina, sul computer o sull’i-pod. La musica è diventata sottofondo perenne e continuo, sottofondo che tutti sentono ma pochi ascoltano.
 
1934, Stati Uniti. George Owen Squier è un generale, ma anche un instancabile inventore. E’ a lui che dobbiamo la Wired Radio, tecnologia che permette di trasmettere musica attraverso le linee elettriche. L’invenzione viene collaudata nei ristoranti e negli alberghi, e due anni dopo la musica si diffonde anche negli ambienti commerciali. Nel frattempo, Squier fonda la Muzak Corporation, che crea un proprio repertorio privo di elementi che distraggano l’attenzione, come i cambiamenti di ritmo, gli ottoni e la voce. Tale musica, almeno inizialmente, è considerata di grande beneficio per i lavoratori: riduce l’assenteismo, le uscite anticipate, e in certi casi perfino la noia e la fatica. S’inizia, tuttavia, a parlare di musica appiattita e di lavaggio del cervello; la prima protesta formale, però, viene fatta solo nel 1949, in reazione all’installazione del programma Musica a Bordo sui trasporti pubblici di Washington, D.C. Si parla infatti di aggressione dell’udito e di pubblico vincolato all’ascolto, non più libero di leggere, parlare o stare semplicemente in silenzio.
La causa contro il programma Musica a bordo fu persa. Attualmente, nei supermercati la musica viene diffusa per creare un clima piacevole, rilassato, in modo da farci passare più tempo fra gli scaffali. Camminando compiamo circa 90 passi al minuto: diffondere una musica sotto i 90 battiti al minuto ci fa rallentare inconsciamente. Musiche ritmate e veloci, invece, tendono a farci compiere un maggior numero di gesti automatici, aumentando così il numero di prodotti che finiscono nel carrello. Più di tutto il resto, però, la musica serve a influenzare gli acquisti: tipi diversi di musica, infatti, portano a comprare tipologie diverse di prodotti. In altre parole, se nel reparto vini la musica diffusa è francese, è più facile che io compri vini francesi, piuttosto che spagnoli.  L’ascolto passivo ci rende meno consapevoli e più disattenti, quindi prede più facili delle strategie di marketing.
Dall’inventore della musica di sottofondo di tempo ne è passato, e certo Squier non è il solo responsabile delle canzoni nei supermercati. Sicuramente il silenzio è ormai un bene sempre più raro, così come la possibilità e quindi la capacità di ascoltare attivamente la musica invece di sentirla soltanto. Come disse William O’ Douglas, giudice di minoranza durante la causa contro il programma Musica a Bordo: “Il diritto a essere lasciato in pace è certamente l’inizio di tutte le libertà.” Nessuno se ne occupa, ma forse si dovrebbe istituire un diritto al silenzio, o perlomeno ad una musica che invece di manipolarci possa far sì che la qualità della nostra vita migliori.
 

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